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“Attraversando” 
  
di Paola Musarra / 2006 
 
1. Curiosità epistemologiche 
 
Questi versi friulani dell'Arlêf ("Viviamo in terra di confine - e conosciamo i 
limiti. - Ed è così che sappiamo - come andare oltre.") mi sono venuti in mente 
per una strana associazione quando Lucilla Ruffilli, una delle fondatrici del 
Circolo Bateson romano (potete visitare il Laboratorio epistemologico di Lucilla 
"Pensare per storie") mi ha rivolto l'imbarazzante domanda: 
"Ma che cos'è MeDea?" 
 
Sul momento ho risposto citando più o meno a memoria quello che abbiamo scritto 
sul sito. Ma una volta tornata a casa i versi dell'Arlêf sono riemersi dalla mia 
memoria e hanno cominciato a turbinare, posandosi su libri fogli cartelle 
computer telefonino, fino ad atterrare su...
 
  
... i versi dell'Arlêf... Ma procediamo 
con calma. Non trovavo una risposta univoca alla domanda di Lucilla. Provavo a 
seguire un tenue filo: MeDea è arrivata finalista nel 2004 al Premio DonnaèWeb 
nella sezione "Arte e cultura", quindi... Ma le infinite definizioni che si 
possono dare di questi due termini, "arte" e "cultura", non mi aiutavano a 
trovare un comune denominatore per tutto ciò che trova spazio sul nostro sito: 
le vele di Luigi Candela, le voci dalle Valli del Natisone, il "Mishima" di 
Patrizia Lessi, le donne albanesi, le foto di Susanna o di Amelia, gli 
acquerelli di Paola Rosati, le poesie di Lucia Gazzino, i libri d'arte di 
Loretta Cappanera, il mio HTML, lo studio sul lavoro delle donne di Angela 
Frulli, il brico(l)lage di Giuseppe O. Longo, Topolò, le performance di Isabella 
Bordoni... 
 
Che cosa hanno in comune tutte queste riflessioni, proposte, storie, emozioni? E 
perché sono accolte su MeDea? 2. 
Alla ricerca di un comune denominatore 
 
I versi dell'Arlêf sono atterrati volteggiando sulla copertina blu scuro di un 
libro di Enrico Castelli Gattinara dal titolo per me assai invitante: Pensare 
l'impensato (Meltemi, Roma 2004). Ho avuto occasione di conoscere Enrico in due 
occasioni, quando abbiamo presentato insieme dei lavori di Giuseppe O. Longo (ve 
ne ho parlato su MeDea). 
 
Leggiamo dalla quarta di copertina: 
"Questo libro nasce dal bisogno di mettere a confronto diverse forme 
dell'esperienza culturale per riconoscerne le intersezioni e i rapporti, nella 
convinzione che nessun ambito disciplinare possa istituirsi in solitudine, senza 
un confronto molteplice.". 
 
Bene, un concetto molto batesoniano. E il pensiero di Gregory Bateson appare in 
filigrana lungo tutto il volume. Qui mi interessa soffermarmi soprattutto sul 
concetto di "limite", di "confine", suggerito dai versi dell'Arlêf. 
 
I confini sono essenziali per la comprensione e la conoscenza, per evitare la 
confusione e l'omogeneizzazione. 
Leggiamo a pag. 16: 
"Per bene conoscere occorre segnare dei limiti. Limiti mobili, che possono 
cambiare, che s'articolano secondo punti di vista, che si flettono e si spostano 
nel tempo, che sono persino in grado di cancellarsi, ma pur sempre limiti, 
bordi, contorni.". 
 
A questo punto si aprono davanti a noi due strade ben precise. 
La prima considera il confine come un assoluto, che separa il "dentro" che è 
nostro dal "fuori" che è alieno. Ci si arrocca nella propria cittadella ben 
difesa, ben protetta, nel proprio ambito ristretto che ci si illude di poter 
controllare ("il confine, questa camomilla notturna per i pacifici sonni dei 
benpensanti", ha scritto Gianni Tomasetig in Tra vecchi e nuovi confini, p.34). 
 
La seconda strada invece vede nell'atto stesso di istituire un confine un invito 
ad attraversarlo. Leggiamo ancora (pp.17-18): 
"Se la differenza ha senso, è perché esistono limiti e confini che la rendono 
attuale, che la rendono attiva. (...) Ma la differenza implica sempre un 
rapporto, una messa in relazione, un confronto e quindi una tensione fra una 
cosa e l'altra... e questa tensione si esercita ai confini.(...) Per quanto ci 
si rinchiuda o si rinchiuda, per il fatto stesso di farlo, si prepara 
l'evasione.". Partendo da queste 
parole di Enrico Castelli Gattinara tocca a noi cominciare a riflettere e a 
coinvolgerci. Il suo discorso non riguarda infatti solo i confini geografici, 
nazionali, geopolitici. 
E' troppo facile dire "non sono leghista" o "sono disponibile nei confronti 
degli extracomunitari" (magari aggiungendo "se sono in regola!"). 
E non basta neanche varcare i limiti dei diversi campi del sapere (una certa 
interdisciplinarità, in fondo, è accettabile, si può fare, è di bon ton perfino 
nei chiusi giardinetti accademici). 
Né possiamo illuderci di istituire un autentico incontro con gli altri, un vero 
contatto, se il nostro atteggiamento è in realtà quello di un prete nel 
confessionale, che dopo aver "ascoltato" distribuisce penitenze e/o assoluzioni. 
 
La riflessione sul "limite", sulla "differenza", se portata fino in fondo, ci 
costringe ad affrontare un altro tema profondamente urticante per la nostra 
sensibilità di occidentali ben protetti/e. 
 
Sto parlando della crisi della centralità dell'io. 
 
Se è vero - ed è vero, non fatevi illusioni - che l'io non se ne sta da solo al 
calduccio in un punto imprecisato del nostro corpo (nel cervello? nel cuore? nel 
fegato? nel sesso? nell'alluce sinistro?) o della nostra ipotetica animula 
vagula blandula, ci toccherà cercarlo nella relazione con gli altri, con il 
mondo circostante. Ahi ahi. 
 
Ma non è tutto. Se così è - ed è così - quanti "io" abbiamo? Con quanti nostri 
"io" dobbiamo avere a che fare? 
 
"Je est un autre", diceva Rimbaud. Vi invito a leggere tutta la prima parte del 
volume di Enrico Castelli Gattinara intitolata appropriatamente L'io infranto 
per godere (o per soffrire, dipende da voi) di questa frantumazione attraverso 
le testimonianze di filosofi, scienziati, scrittori sul gioco perverso dei 
pronomi personali ("I pronomi! sono i pidocchi del pensiero", diceva Gadda). 
  
3. Sì, d'accordo... ma MeDea? 
 
Credo di averlo individuato il comune denominatore che unisce, attraverso legami 
dendritici sotterranei, i diversi contributi o eventi che appaiono su MeDea.. 
 
E'questa disponibilità ad uscire dai propri confini protetti per mettersi 
responsabilmente in gioco insieme (ho detto insieme) agli altri e alle altre, 
con proposte, segnalazioni e riflessioni fuori dal coro, che istituiscono luoghi 
insoliti e provvisori (ma l'archivio li conserva!) di incontro e scambio, 
all'insegna dell'attraversamento e delle differenze. 
 
Sono piccole evasioni, piccoli spostamenti, piccole trasgressioni, eppure hanno 
una loro forza proprio perché comportano una "esposizione" personale. In questo 
gioco rischioso c'è chi si perde per strada... ma altri/e ci raggiungono per 
lottare contro l'omogeneizzazione delle forme e dei contenuti. Si disegna così 
una geografia degli affetti che scopre sorprendenti corrispondenze. 
 
Vorrei concludere con un caso emblematico di "attraversamento", che vi abbiamo 
già segnalato negli "Eventi". 
 
Da Venezia a Pekino un piccolissimo gruppo di motociclisti senza appoggio ha 
varcato tredici frontiere con tredici tappe: in Slovenia, Croazia, Serbia, 
Bulgaria, Turchia, Georgia, Armenia, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan, 
Kirgyzistan e Cina. 
  
dal sito 
www.marcopolo2005.it Quindicimila 
chilometri, la Via della Seta. Ma il Marco Polo 2005 Motoraid non è stato 
soltanto un exploit sportivo: è stato anche l'occasione, come recita il 
comunicato stampa, per "abbracciare popoli e culture diversi, per lanciare un 
messaggio di pace e speranza in terre spesso martoriate da guerre e tensioni.". 
 
Al viaggio è collegata una iniziativa artistica e scientifica, ideata 
dall'artista Paolo Monti, che lavora da molti anni al limite tra arte e 
scienza. 
 
I motociclisti, ad ogni tappa del percorso, hanno raccolto firme su tredici 
banconote di dollaro che Paolo Monti ha completamente decolorato, asportandone 
il pigmento. In tal modo questi "fogli bianchi" hanno perso il loro valore 
monetario, riempiendosi di nuovi colori e nuova vita. 
 
Al ritorno dalla spedizione le banconote saranno analizzate con diversi sistemi 
spettrografici alla ricerca delle "tracce" lasciate dal viaggio, restituendoci 
una realtà complessa. 
 
Muoversi con agilità da un piano all'altro del sapere, pensare l'impensato delle 
cose, delle opere, dei concetti, dei corpi e degli spazi, per cogliere la 
straordinaria complessità del nostro presente, ci suggerisce Enrico Castelli 
Gattinara. Il percorso ricco e originale dell'operazione Marco Polo mi sembra 
che vada proprio in questa direzione. 
 
"Trasformiamo le frontiere in vasi comunicanti e le bandiere nazionali in 
vessilli di pace", ha scritto Gianni Tomasetig dopo una conversazione con Paolo 
Monti. 
 
Ma per presentarvi Paolo Monti in modo più adeguato preferisco lasciare la 
parola a titjan, mio avatar prediletto e personaggio di confine quant'altri mai: 
paolo e i 
dollari-sdollari. 
 
  
 
  
 
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