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“Time to Time”
 
di Alessandra Galletta / 1993 
 Come è nata l’idea di Time 
to Time al Castello di Rivara e come si è svolta?
 Time to Time nasce dalla volontà e dall’esigenza di fare 
il punto sulle energie della generazione critica e artistica esordiente. 
Si è trattato di una rassegna di giovani critici italiani, invitati a 
misurarsi con il medesimo spazio (quattro sale dell’ala sinistra della 
villa neobarocca) ma nella più totale libertà. Ad ogni critico era stato 
richiesto di invitare tre o più giovani artisti emergenti nel panorama 
italiano e internazionale motivando la scelta con una presa di posizione 
teorica. La serie di mostre si è svolta da gennaio a maggio e ha visto 
la partecipazione di Saretto Cincinelli (che ha presentato Connie 
Dekker, Paolo Fabiani, Eulalia Valdosera), Claudia Colasanti Canovi 
(con Francesco Bernardi, Luisa Lambri, Maurizio Mercuri, Alessandro 
Rivola), Pierandrea Casati (con Lorenzo Alagio, Timo Kahlen, 
Erwin Lantschner, Davide Skerly), Serena Simoni (con Francesco 
Bocchini, Patrizia Gambi, Margherita mantelli e Luca Pessoli), 
Emanuela De Cecco (con Fabrizio Basso, Gianluca Codeghini, Rocco Lo 
monaco), Luca Beatrice (con Luca Nuvoli, Marco Codazzo, Mimmo 
Calopresti, Vik Muniz, Florence Paradeis, Massimo Orsi), Luca 
Piciocchi (con Paolo Berardinelli, Maurizio Cannavacciuolo, Paolo 
Monti, Sabrina Sabato), e infine è stato il mio turno con Bank Of 
Reality, Bratrstvo, Critical Decor, Alessandro Pessoli e gli Yach.
 
 Che tipo di riscontro avete avuto da parte dei critici invitati, 
degli artisti e del pubblico?
 
 Per molti dei curatori si trattava della prima prova significativa e 
quindi hanno risposto con entusiasmo, anche perché lo spazio offerto – 
pur essendo una parte minima del Castello – è pur sempre più ampio della 
media delle gallerie, e le occasioni di collaborare con artisti 
generazionalmente vicini sono, purtroppo, sempre più rare. Da parte loro 
gli artisti si sono impegnati ad approntare per lo spazio un progetto 
specifico, che fosse anche rappresentativo del proprio lavoro, e hanno 
saputo sfruttare a loro vantaggio le influenze e le interferenze 
reciproche. La risposta del pubblico, infine, nonostante la cadenza 
serrata delle inaugurazioni – ogni due domeniche – è stata attiva, anche 
sul fronte degli addetti ai lavori.
 
 E’ un progetto destinato a continuare?
 
 L’esperimento è stato incoraggiante e stiamo già progettando un’edizione 
di Time to time riservata ai giovani critici internazionali. Per il 
momento abbiamo raccolto in un dossier-catalogo gli otto testi critici 
dei curatori, che personalmente ho trovato sempre puntuali e di buon 
livello.
 
 E’ affiorata una tendenza artistica prevalente?
 
 La pratica dell’installazione sta conoscendo un anomalo remake, 
ideologicamente e culturalmente connotato; in linea più generale si è 
notata l’evidente coesistenza di media molto diversi tra loro, come 
fotografia con assemblaggi di oggetti, video con disegni, poster, 
sonorizzazioni ambientali, ecc. Fabrizio Basso – presentato da Emanuela 
De Cecco – ha addirittura installato una stazione radio, mentre il duo 
svizzero Yach ha utilizzato – fisicamente – delle videocassette per 
costruire un percorso simbolico nei media. Forse, come europei, stiamo 
superando quel complesso di inferiorità verso il mito della perfezione 
tecnica che aveva caratterizzato l’arte, soprattutto statunitense, degli 
anni Ottanta: come italiani, e come giovani, non ci vergogniamo più 
delle imperfezioni formali, e anziché cercare di nasconderle ci 
sforziamo di riscattarle con l’originalità e l’emotività espressiva che 
ci caratterizzano.
 
 
 “Time to time”
 di Alessandra Galletta
 in: Flash Art 1993,
 No.174, pag. 117
 e No.175, pag.53
 
 
 
 
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