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“La Bio-Arte di Paolo Monti”
 
 di Francesca Ribacchi / 1990
 
 
  PAOLO MONTI, FE 
AURUM, 1979/1980 - Il contatto tra la polvere magnetica e una banconota 
trattata con reagenti chimici attiva il processo di ossidazione del 
piatto di ferro nel quale è contenuta, generandone la metamorfosi.
 
Il presente dell’immagine artistica è espresso dalla libera scelta 
operativa che l’artista ha ereditato dal vitale sperimentalismo 
dell’avanguardia storica; perché sondare le potenzialità illimitate 
del linguaggio visivo è stata nel corso del novecento la norma 
stimolante di tutte quelle ricerche più avanzate che propongono una 
nuova interpretazione della realtà.
 
 Coerentemente col più puro sperimentalismo artistico Paolo Monti si 
orienta verso l’uso controllato delle energie naturali: il 
magnetismo, la gravità, l’elasticità, il calore e le reazioni 
chimiche divengono le strutture formali della sua operatività e, 
nello stesso tempo, gli strumenti più pertinenti per approntare 
un’indagine sullo spazio fenomenico, con il quale ipotizza lo 
smaterializzarsi dei falsi valori sociali.
 
 Nell’opera Bilancia, 1989, l’artista utilizza contemporaneamente tre 
fonti energetiche, la chimica, la meccanica e la gravitazionale. 
L’opera si avvale di due pesi contrapposti su di una piccola 
puleggia, banconote biodegradabili (destinate a dissolversi 
nell’aria perché trattate con reagenti chimici) e l’equivalente 
quantità in oro. Alla diminuzione quasi impercettibile delle 
banconote, controllata temporalmente dall’artista, corrisponde 
un’altrettanta discesa d’oro nel mercurio, metallo che corrode ed 
assorbe tutte le densità auree. La degradazione dei due “status 
simbol” è completa.
 
 Oppure con il contatto della polvere magnetica sull’opera Fe Aurum, 
1979/1980, realizzata con piatti circolari di ferro con sopra una 
banconota trattata con reagenti chimici, si sottolinea la stretta 
connessione del processo di ossidazione del metallo con il 
biodegradarsi della carta moneta: come l’oro anche il ferro è 
soggetto a metamorfosi. La “biodegradabilità” della serie carta 
moneta enuncia rigorosamente il paradosso del denaro come non 
valore. Contemporaneamente la biodegradabilità, cioè le sequenze di 
trasformazione dell’immagine sino alla sua polverizzazione, diviene 
l’elemento processuale contrapposto al patrimonio segnico 
storicizzato.
 
 Nella serie Mutagene, 1988, le fasi della 
trasformazione programmata della forma sono visibilmente amplificate 
ed accelerate. Mutagene sono diapositive impressionate chimicamente 
sulla lastra con sostanze reagenti che provocano il continuo 
cambiamento cromatico della superficie, mentre l’energia 
gravitazionale provoca lo scivolare, l’attrarsi ed il confluire del 
liquido nello spazio a sua volta ingigantito dalla proiezione. 
L’autogenerarsi della forma in Mutagene, dando vita allo svolgersi 
di soluzioni formali continue sino al loro esaurisi nel tono 
luminoso finale, conferisce di fatto l’autonomia all’opera stessa, 
il suo autoconstituirsi.
 
 Siamo di fronte all’attivazione di un nuovo punto di vista, un 
ulteriore modo di focalizzare ed esprimere la forma, riproposto 
dall’artista anche in Onde Elastiche, 1989, contenitori colmi di 
mercurio assorbono le vibrazioni di corpi solidi pressati oppure di 
sollecitazioni sonore, trasformandole in onde luminose.
 
 Qui come in Mutagene la forma è posizionata per lo spettatore in una 
regione fenomenica dello spazio in cui le coordinate, cioè le varie 
forme di energia, caricandosi o reagendo tra loro producono una 
nuova lettura percettiva del reale. Il giudizio ironico espresso da 
Paolo Monti con le sue opere pone problematicamente l’accento sui 
legami universali del quotidiano, l’oro o la carta moneta o un 
metallo altrettanto prezioso come il mercurio e sulla mercificazione 
dell’opera d’arte. Il suo messaggio ribadisce l’importanza del 
“fare”, o meglio dell’operare critico dell’artista con un progetto 
impegnato che provochi, per rivitalizzare, il pensiero libero e 
creativo dei singoli.
 
 
 “La Bio-Arte di Paolo Monti”
 di
FRANCESCA RIBACCHI
 da “Pubblicittà”,
 No. 3, 1990, pp. 3 - 12
 
 
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